Balmalonesca! Questo curioso nome non si trova nemmeno sulle più minute carte geografiche. Un tempo era là, a 573 metri d’altezza sulla la strada che s’inerpica lungo la Val Divedro, nel territorio di Trasquera. Con l’inizio dei titanici lavori per il traforo del Sempione sorse il problema dell’alloggio dei numerosissimi operai impiegati nello scavo e provenienti da varie regioni italiane. Nel luogo dove c’erano soltanto una vecchia caserma di epoca napoleonica e qualche vecchio rudere, sorse il paese di Balmalonesca, un mucchio di “case, casine, casette, casucce, quasi tutte di legno“, allineate su un chilometro, che aumentarono ulteriormente, dopo che, sospesi i lavori dall’imbocco in Svizzera, a Briga, gli operai si riversarono tutti sul versante italiano. Il villaggio nella ribattezzata val d’ul bòcc (la valle del buco), che arrivò ad ospitare tra i 7500 e gli 8000 abitanti, era gestito con regole severe dall’impresa di Alfredo Brandt – Carlo Brandau & C. Non mancavano la scuola elementare, un teatrino in legno e negozi di ogni genere, oltre a un ospedale con 30 posti letto in località Nante.

Uno scorcio di Balmalonesca, il villaggio effimero nei pressi di Iselle, sorto durante la costruzione del traforo del Sempione. Foto di Ernesto Lossetti, Piedimulera, pubblicata in L’Ossola et ses valles, 1904, Milano, Lampugnani. Archivio Claudio Albertini, Omegna
Sono quattro gli uomini che spiccano nella neonata comunità: il dottor Giuseppe Volante, un giovane medico piemontese fresco di laurea, assunto come direttore sanitario del cantiere di Iselle; Don Antonio Vandoni, nominato cappellano del Sempione nel 1899 dal Vescovo di Novara; Vittorio Buttis, il segretario della Camera del Lavoro di Varzo, inaugurata nel novembre del 1901 e Giovanni Bertina, direttore didattico delle scuole cattoliche di Iselle e Balmalonesca. Il Buttis, reduce da una lunga esperienza sindacale in Germania, ottenne miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro. Il dottor Volante si impegnò con successo ad arginare il pericolo dell’ancylostoma duodenale, la terribile “anemia del minatore” che aveva decimato centinaia di lavoratori al Gottardo. Vi furono comunque dei morti anche qui: 63 operai perirono per malattia, 58 per incidenti sul lavoro, 22 in risse, suicidi o infortuni fuori dal lavoro. Don Vandoni aveva appena 24 anni quando giunse a Balmalonesca. Si ricavò una cameretta nell’ospedale, fece subito erigere la chiesa, e superò presto la concorrenza del pastore evangelico Gervasi, che era appoggiato dagli impresari, di religione protestante. Il parroco organizzò poi la scuola elementare e la materna, che nell’anno scolastico 1900-1901 contò 427 iscritti.

Sull’uscio della scuola di Balmalonesca la maestra è intenta ad esaminare un dentino da latte traballante

Alunni e maestra nell’aula della scuola elementare cattolica fondata da Don Vandoni. Da Edgardo Ferrari, Il Sempione dal valico al traforo, Domodossola, Grossi, 2006
Alla sera si teneva la scuola serale per adulti e al giovedì i corsi di ricamo e cucito per le ragazze. Don Vandoni promosse un centro estivo per i bambini e la fondazione dell’Opera del Sempione. Era aiutato dalle sorelle, Rosa e Maria, e da tre cugine che aveva chiamato dal suo paese, Bellinzago. Fu durante un’escursione con i piccoli sulle montagne sopra Gondo che morì tragicamente, dopo essere scivolato nella cascata del torrente Vaira. Era il 30 Luglio del 1904 e il suo corpo, trascinato nella Diveria, venne ritrovato dieci mesi dopo. Lo stesso destino era toccato al Gervasi, affogato nelle acque del Lago Maggiore. Il maestro Bertina ottenne per le scuole gli stessi diritti di quelle pubbliche e alla morte di Don Vandoni, oltre a far murare una lapide a suo ricordo nella chiesa di Santa Barbara, continuò il lavoro di assistenza ai figli degli operai e fece aprire due asili infantili.

Gli allievi delle scuole in posa per la foto di gruppo. Da Edgardo Ferrari e Carlo Pessina, L’Ossola nella fotografia d’epoca, Domodossola, Grossi, 1996
A Balmalonesca, per sette anni e tre mesi, come ricorda Orio Vergani ci fu “un mondo in cui si parlavano tutti i dialetti d’Italia, dove si trovavano calzolai veneti, cuochi napoletani, vinattieri pugliesi“. Oltre agli operai abbondavano osti, commercianti, prostutite e giocatori d’azzardo. Sorsero un’infinità di trattorie e bazar con le caratteristiche iscrizioni che dimostravano la presenza di tutte le regioni italiane. Come racconta Ottone Brentari, inviato speciale del Corriere della Sera, sul giornale del 25 Febbraio 1902 “in chi costrusse questa borgata-accampamento non mancò il buon gusto e alcune verande, ballatoi, fregi di legno, dànno a più d’una di queste casette un certo tipo da villetta alpina che consola.

La chiesa cattolica dedicata a Santa Barbara, protettrice di minatori e pompieri. Costruita, in soli quaranta giorni, nell’anno Santo 1900 dalla Diocesi di Novara. Davanti all’ingresso Don Vandoni, il maestro Bertina e le famiglie dei trafurett. Fu distrutta dalle piene della Diveria nel 1919
Girai su e giù per la lunga via (or ora sgombrata dallo spazzaneve trascinato da dieci robusti cavalli) e mi persuasi che qui non manca proprio nulla. Prima di tutto non mancano le osterie, trattorie, ristoranti, alberghi: anzi si può dire che c’è n’è quasi uno in ogni casa; e le insegne sono le prime a farci sapere che gli operai sono qui giunti da tutte le parti d’Italia: perché esse accennano a città (Alleanza Cooperativa Torinese), a parti di provincia (Ristorante Canavese), ad intere regioni (Macelleria Toscana). In mezzo a tutti questi segni… ed insegne di regionalismo c’è pure, che Dio lo benedica, il Ristorante all’Italiano; e chi vagheggiasse ideali più larghi di quelli della patria, ecco che avrebbe a sua disposizione l’Osteria del Popolo Internazionale. Il Sempione dà pure il nome a più d’un esercizio; e, come in contrapposto alle tenebre della galleria, sono numerose anche le osterie dedicate al Sole ed alla Luce. Numerosi sono pure i barbieri; anzi un’insegna porta nientemeno che queste sontuose parole: Salon Parisien Coiffeur! Pare in ogni modo che la strombazzatura abbia avuta poca fortuna; ché il Salon c’è ancora, ma in esso, in cambio del coiffeur, ha posto, per qualche ora al giorno, la sua sede provvisoria l’egregio medico-farmacista di Varzo, che qui ha stabilito un dispensario farmaceutico.

Doveva essere un’occasione speciale che indusse gli uomini e le bambine a indossare il loro vestito migliore per farsi fare la foto di gruppo con le biciclette, che allora dovevano essere abbastanza rare. Forse la fine dei lavori al tunnel? Risulta sorprendente l’assenza di signore, chissà come mai… Si ringrazia per la bellissima foto Isabella Tinetti, nipote di un trafurett. L’immagine è di Ernesto Trabucchi, uno dei più noti fotografi domesi del secolo scorso

Alcuni parenti della nostra gentile lettrice Isabella Tinetti erano veri professionisti del settore. Scavarono, prima del Sempione, il traforo ferroviario del Colle del Tenda, la più lunga galleria della linea Cuneo – Nizza che fu inaugurata nel 1900. I Tinetti si trasferirono a Tenda con tutta la famiglia e mentre gli uomini lavoravano al cantiere, la moglie di Pietro Tinetti, Cecilia, gestiva un bazar di alimentari e altri beni in Valle Roja

Giovanni Tinetti è il giovane con il completo velluto scuro a coste, alle spalle del signore con bambina e bicicletta. Era figlio di Pietro Tinetti ed era nato a Gauna in Valchiusella il 30 Dicembre 1896. Alle spalle di Giovanne ecco il padre Pietro, con baffoni e cappello tirato un po’ indietro. Entrambi venivano da Alice Superiore ed erano fabbri, mestiere che era la specialità di quel paese. I Tinetti lavoravano infatti non come minatori, ma come fabbri nella preparazione defgli attrezzi, sia per la galleria del Sempione che per quella del Tenda e poi per le miniere di Traversella in Val Chiusella.

Un dettaglio della foto di gruppo a Balmalonesca, inviata da Isabella Tinetti. Malgrado il lavoro al traforo fosse assai faticoso, logorante e non privo di pericoli, gli abitanti del villaggio avevano abiti eleganti e ben stirati, certamente fatti a mano e possedevano un bene, all’epoca abbastanza raro e quindi degno di apparire in foto, come una bicicletta

Una veduta dell’unica strada del villaggio di Balmalonesca. In primo piano una carrozza con i cavalli e alcuni passanti; sullo sfondo la chiesetta di Santa Barbara
Di negozi ce n’è di ogni genere e specie; e dai vestiti alle scarpe, dalle chincaglierie alle inevitabili cartoline postali, nulla fa difetto; e non mancano l’ufficio di posta e la stazione dei carabinieri; e per tutto quello che può nascere c’è anche la sua brava levatrice approvata. Questi operai sono qui in gran parte colle loro famiglie, più o meno regolari; e perciò la via è piena di bimbi, che sono quasi più numerosi dei cani, i quali sono in numero straordinario. Per tutti questi piccini sorse qui presto l’asilo infantile; poi vennero le scuole maschili e femminili; poi la chiesa cattolica di Santa Barbara, pulita ed elegante, su nella parte alta del paese; e poi anche la chiesa evangelica. Tutto questo avrà servito, voglio sperare, ad educare i piccoli; ma i grandi? Come andiamo in fatto di moralità e regolarità? Mi è bastata un’inchiesta breve e sommaria a persuadermi che, da questo lato, c’è poco da stare allegri. Le famiglie sono molte ma pochi sono i matrimoni regolari … e finiti i lavori del Sempione saranno finiti anche i matrimoni“.

Giorno di festa, con una gran folla nelle strade. A sinistra il Ristorante della Pace. Le case del paese erano semplici, ma graziose e ben rifinite. Ai minatori erano concesse tre vacanze all’anno: Natale, Pasqua e il 4 Dicembre, giorno della loro patrona Santa Barbara
L’ingegner Brandau, il responsabile dei lavori sul versante italiano, descritto dal Malladra come “un tipo di robusto e vigoroso sassone, rude a primo aspetto, ma di una cordialità che colpisce … è il vero papà degli operai“, aveva organizzato un cimitero a Iselle, un ambulatorio medico, grandi dormitori costruiti secondo le moderne regole igieniche, la mensa, la sala docce dove gli operai alla fine del turno di lavoro potevano lavarsi e lasciare gli abiti sporchi che venivano immediatamente lavati e asciugati in grandi stanzoni con l’aria calda. Tra gli operai molti erano giovanissimi. Come osserva il Brentari, “nella schiera vedo pochi uomini in età, e molti ragazzetti, che riescono a guadagnarsi un paio di lire al giorno, ad imparare troppo presto quanto è dura la vita. I ragazzi, quando non si consegnano qualche pugno, chiassano, scherzano, ridono, si lanciano palle di neve; ma gli altri sono seri, di una serietà mesta e quasi fatalistica. Giungono col loro lanternino, coi loro stivaloni, coi vestiti sdrusciti, rattoppati, laceri in modo da lasciare vedere le carni; prendono posto nei vagoncini; ed aspettano la partenza, cercando un po’ di conforto nella inseparabile pipetta. Addio ed arrivederci, povera buona gente! I viaggiatori, fra poco, comodamente assisi nei vagoni di velluto, passeranno di qui; ma quanti di essi penseranno a voi?“.

Una famiglia di operai meridionali addetti ai lavori del tunnel nel 1903. Foto “Fotografia Alpina” di Giovanni Ruggeri, Domodossola, Museo Galletti
Alla conclusione del lavori il paese iniziò a spopolarsi: molti operai preferirono far fagotto tornare alle terre natie. Le case furono abbandonate e al posto delle voci dei bambini si udiva solo il sibilo del vento freddo dei ghiacciai, finché nel 1920, attorno alla mezzanotte del 29 Settembre, l’alluvione del torrente Diveria travolse e spazzò via il villaggio con un onda di piena, ma fortunatamente risparmiò i pochi abitanti rimasti. La chiesa era stata demolita qualche mese prima perché pericolante. Nel 1954 le acque restituirono, nel 50° della morte, la lapide dedicata a Don Vandoni che sta oggi, tutta sconquassata, nella chiesa di Iselle. Nel 1977 lo stesso corso d’acqua terminò l’opera di demolizione del paese, dove vivevano ancora quattro famiglie. Oggi restano soltanto pochi ruderi e qualche immagine a ricordare il villaggio fantasma dei trafurett del Sempione.

Iselle, 2 Aprile 1905, il treno in attesa degli invitati nel giorno dell’inaugurazione in uno scatto del fotografo domese Ernesto Trabucchi
Scarica qui il pdf dell’articolo: Balmalonesca, un Far West ai piedi del Sempione
Bibliografia: Ottone Brentari, Gli operai addetti al lavoro, in “Il Corriere della Sera”, 25 Febbraio 1902; Alessandro Mallandra, Il traforo del Sempione, Milano, Cogliati, 1904; Luciana Rigoni, Balmalonesca e il Sempione, Domodossola, Grosso, 1991; Carlo Pessina ed Edgardo Ferrari, L’Ossola nella fotografia d’epoca, Domodossola, Grossi, 1996; Edgardo Ferrari, Il Sempione dal valico al traforo, Domodossola, Grossi, 2006; Autori Vari, a cura di Roberta Cordani, Milano verso il Sempione, Milano, Celip, 2006; Balmalonesca e il Sempione, dalla cura del corpi alla cura delle anime, Dvd, pubblicato dal Comune di Trasquera nel 2006; Paolo Crosa Lenz, Appunti per una storia sociale del Sempione, in Almanacco Storico Ossolano, Grossi, Domodossola, 2008; Orio Vergani, Una storia di pionieri, da “Lo Strona”, I-1981, in Lino Cerutti ed Enrico Rizzi, Il Lago d’Orta. Pagine di storia e arte da “Lo Strona” (1976-1982), Anzola D’Ossola, Fondazione Enrico Monti, 2009.
GRAZIE PER QUESTO PREGEVOLE SERVIZIO .
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Grazie a nome della famiglia Volante. Una nipote dello “Zio Dottore”
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Gentile Signora Michela,
grazie a lei per il messaggio. Se per caso avesse qualche immagine del Dottor Giuseppe, magari, ancora meglio, a Balmalonesca o sul Gottardo, sarebbe molto bello poterle pubblicare. Il mio indirizzo email è paola.vozza@fastwebnet.it
Cordiali saluti. Paola Vozza con Marco Casali
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Buongiorno Paolo, vi suggerisco di creare una pagina su Wikipedia per Balmanolesca con un richiamo al vs. sito. Ottimo lavoro. complimenti.
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Ciao Stefano! Grazie del tuo apprezzamento. Non ci avevo mai pensato, perché non sono molto esperti, in effetti è una buona idea. Proverò a farlo, quando ne avrò il tempo. Un caro saluto. Paola e Marco
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Non sapevo la storia del villaggio di Balmalonesca, non sembra vero che potessero dimorarvi 8.000 persone. Ho letto con interesse quanto esposto circa questo insediamento, legato alla realizzazione della linea ferroviaria del sempione. Pubblicare la cronistoria di fatti e avvenimeti del passato, porta a conoscenza a chi come me, certi aneddoti li ignorava. Grazie a chi si impegna e ottiene ottimi risultati. Se ho ben capito sono Paola e Marco, complimenti, un invito a continuare. Saluti
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Ciao Adriano! Sì siamo noi Casali e Vozza! MI fa molto piacere che ti sia piaciuto perché è uno dei primi pezzi che abbiamo scritto e ci siamo molto affezionati. Penso che sia un soggetto molto affascinante soprattutto perché è scomparso! Ho poi trovato un libro di Luciana Rigoni e devo acquistare Le Cronasche di Trasquera di Umberto De Petri, così lo potrò arricchire e aggiornare. Un caro saluto e a presto! Paola
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[…] Source: Balmalonesca, un Far West ai piedi del Sempione […]
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Molto bello! Una perforatrice e’ conservata nel museo del Collegio Mellerio Rosmini di Domodossola. Ricordo anche un libro al proposito, degli anni 50, del prof. Renzo Mortarotti, col prof. Bertamini, insigne studioso e divulgatore di storie Ossolane.
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Grazie Giuseppe! Purtroppo non ho mai avuto l’occasione di visitare il Museo del Collegio, ma mi riprometto di farlo appena potrò. Non conosco invece il libro, ma qual è il titolo? Grazie. Paola e Marco Casali
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Molto interessante, belle le foto! Desideravo precisare che molti operai addetti ai lavori del traforo erano romagnoli, quasi tutti provenienti dal circondario cesenate, in particolare dai Comuni di Mercato Saraceno e Cesena.Nell’agosto del 1895 era fallita l’importante Soc. delle Miniere Zolfuree di Romagna, che gestiva le miniere di zolfo di Perticara (allora nelle Marche) e di Formignano nel comune di Cesena. Centinaia di minatori rimasero senza lavoro, molti emigrarono nelle miniere francesi e belghe, tanti in Brasile ed Argentina e numerosi nei lavori del traforo del Sempione.
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Ciao Pier Paolo! Non sapevo questa origine romagnola degli operai. Se per caso trovassi delle foto degli operai al Sempione me le potresti inviare? Grazie a presto. Paola e Marco Casali
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raccolta di fotografie stupende e descrizione completa, bellissimo grazie
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Buongiorno Diego!
Grazie mille per i complimenti. Balmalonesca continua a stupire dopo più di un secolo. Conttinua a seguirci anche attraverso la nostra pagina Facebook https://www.facebook.com/Archivio-Iconografico-del-Verbano-Cusio-Ossola-267000826675999/
Un caro saluto. Paola Vozza & Marco Casali
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Ti ringrazio infinitamente. Ho potuto cosi capire perchè mio bisnonno, Secondo Epifanio Forno, si è spostato da Limone dove lavorava per il traforo del Col di Tenda al Sempione. E venuto poi infatti per i lavori del Sempione con la sua sposa ed i suoi genitori che gestivano una cantina per operai, di sicuro a Balmonesca… Tu non sai quanto queste informazioni mi sono preziose. Grazie grazie e ancora grazie Manuela Forno
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Ciao Manuela! Grazie per il commento! Se per caso hai un ritrattio di tuo nonno Epifanio con la sua famiglia e loro immagini Balmanolesca potresti inviarmele via email? Mi piacerebbe molto inserirle nell’articolo. Un caro saluto. Paola Vozza con Marco Casali
La mia mail è paola.vozza@fastwebnet.it
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Scusami di non averti risposto prima, ho appena visto il tuo commento. Infortunatamente, non ho alcun ritratto del mio bisnonno. Lui è morto giovane, a 33 anni 😦 nel 1905 in Svizzera. Non penso che abbia lavorato lungo per il traforo del Sempione, penso piuttosto che sia stato “chiamato” per andarci e, una volta lì, ha dovuto incontrare delle persone che lavoravano per la ditta svizzera Aterliers Mécaniques de Vevey, poichè questa ditta ha fornito parecchie macchine per il traforo del Sempione. Lui e sua famigla si sono dunque trasferiti a Vevey piu o meno nel 1898-99 pero i genitori della sua moglie, Clotilde Pagliai, sono rimasti in questa zona fino alla fine dei lavori del Sempione. Poi anche loro si sono trasferiti in Svizzera per proseguere con i lavori del traforo del Lötschberg..
Communque, ti ringrazio ancora per questo sito, mi è stato molto molto utile.
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Molto interessante e poco conosciuto il contenuto di questo articolo; complimenti agli autori ! laura zini
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Ciao Laura! Grazie dei complimenti!
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