Nel pomeriggio di un giorno d’estate del 1946 arrivavo, al timone di una grossa barca a vela, nel porto di Oggebbio, sul Lago Maggiore. L’inverna, il vento che nella buona stagione si alza ogni giorno dalla pianura lombrada e risale il lago per tutta la sua lunghezza, mi aveva sospinto, tra le dodici e le diciotto, non più in su di quel piccolo abitato lacustre, dove decisi di pernottare. Inizia così La stanza del vescovo, il romanzo che Piero Chiara scrisse nel 1976. Lui lo definì il suo unico romanzo psicologico, malinconico come il lago. Dal libro fu tratto l’omonimo film ambientato sul Lago Maggiore e diretto da Dino Risi. Piero Chiara spesso usava dire: perché cedo i diritti dei miei romanzi al cinema? Perché i miei libri sono come il maiale per i contadini: non si butta via niente! Anche se partecipò alla stesura della sceneggiatura insieme a Dino Risi non fu completamente soddisfatto della rappresentazione che, secondo lui, era troppo volgare. Invece il film risultò un felice adattamento della storia, che narra la vicenda di Temistocle Mario Orimbelli, un reduce dalla guerra d’Africa tornato dalla moglie Cleofe, alla ricerca di distrazione da un matrimonio ormai inaridito. Il protagonista è interpretato da un Ugo Tognazzi in stato di grazia, la moglie da Gabriella Giacobbe, mentre il giovane velista Maffei è impersonato dal bel Patrick Dewaere, uno dei più promettenti attori francesi degli anni Settanta, che si è suicidato nel 1982. Il tono iniziale è quello della commedia boccaccesca, ma la vicenda si trasforma a poco a poco in un giallo drammatico, tanto da costringere il lettore a non interrompere il romanzo fino all’epilogo.

La sceneggiatura del film, girato nel 1977, fu scritta a quattro mani da Dino Risi e Piero Chiara, che fa anche una breve apparizione nella vesti del cancelliere del tribunale

Patrick Dewaere nel ruolo di Marco Maffei, mentre attracca la sua “Tinca” in porto sotto gli occhi curiosi dell’Orimbelli. Ecco come Piero Chiara descrive l’arrivo in paese, narrato in prima persona da Maffei: “Cosa solita a quel tempo nei nostri porti, dove spesso sostavano villeggianti o padroni di ville annoiati, per i quali l’arrivo di un barca mai vista, d’un battello o d’una draga, bastava a dissolvere la maliconia di quel loro stare sul lago, dove speravano di trovare distensione e diletto, finendo invece col raccogliervi rompimento infinito di scatole se proprietari, depredamento d’albergatori se semplici soggiornanti, e tutti, verso sera, struggimento di cuore al pensiero delle spiagge marine, che tra bunker e fortini appena smantellati, andavano già riempiendosi di nudi femminili, di friggitorie di pesce, di dancings e cinematografi.”

“Il signore che mi guardava dall’alto del molo, appoggiato come un capitano di nave alla sbarra di ferro del parapetto, non poteva tuttavia venir assegnato a nessuna di quelle categorie di scontenti del lago che si accorgono, troppo tardi, di aver sbagliato scelta … Che fosse persona di una certa raffinatezza si capiva subito, ma non era facile stabilire a quale rango appartenesse.”

La prima inquadratura di Villa Cleofe, che nel libro è situata a Oggebbio, mentre per il film era stata scelta la Villa Castelli di Stresa. “La villa era a qualche minuto di strada, nascosta da un parco rigoglioso … Ero passato chissà quante volte daventi a quella villa senza farci caso, come davanti a tante altre, grandi e piccole, che si spingono coi loro parchi nel lago, sull’una e sull’altra sponda. Vecchie, signorili dimore, coi giardini gonfi di verzura, le darse coperte di glicini o di viti del Canadà, tutte con le facciate verso il lago, la gran parte chiuse e silenziosa. ‘Quanti amori’ pensai ‘quant vicende dietro quelle nobili fronti’… “
Il film ha inizio quando il giovane Marco Maffei, dopo essere stato internato in Svizzera, decide di navigare nel Verbano e incontra l’Orimbelli, un ex fascista ambiguo e volgare sopravvissuto alla campagna coloniale in Etiopia. Con insistenza l’Orimbelli invita il Maffei a cenare a Villa Cleofe, una classica e lugubre dimora prospiciente il lago, dove vivono l’avvizzita e acida moglie e la cognata vedova, interpretata da una sensuale Ornella Muti, una bellezza acerba che ricorda le fanciulle di David Hamilton. Piero Chiara nel libro colloca Villa Cleofe a Oggebbio, mentre nel film è stata “spostata” a Stresa nella Villa Castelli, con vista sulle isole Borromee. La villa era stata costruita nel 1925 dall’Ingegner Alberto Castelli, dove prima sorgeva un centro termale dedicato ai villeggianti, successivamente fallito per il costo esorbitante dovuto al trasporto delle acque arsenicali dalla Vall’Anzasca. Requisita dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, fu successivamente utilizzata come set cinematografico. Purtroppo la proprietà versa attualmente in un triste stato di abbandono: il tetto è in parte crollato e i muri diroccati. Secondo quanto abbiamo potuto leggere in rete la giunta comunale di Stresa ha approvato una variante urbanistica che prevede la trasformazione della villa in un albergo.

Il primo incontro con Cleofe, la moglie di Temistocle Mario Orimbelli nel giardino della villa, è descritto nel romanzo: “La signora Orimbelli, che mi sedeva di fronte, una magrona autoritaria e sdegnosa, era di almeno dieci anni più anziana del marito, col viso secco e pieno di grinze, i capelli grigiastri divisi in mezzo al capo, il busto diritto e liscio come quello di un uomo.”

Il Maffei viene ospitato per la notte nella cosidetta stanza del Vescovo, una camera tappezzata di rosso, con un baldacchino di legno dorato appeso al soffitto. “Il Vescovo – gli spiega l’Orimbelli – “era un prozio di mia moglie, monsignor Alemanno Berlusconi, morto nel ventotto, che fino a vent’anni fa passava l’estate in questa villa. Il padre di mia moglie gli aveva fatto addobbare la stanza migliore in modo degno di un prelato che era stato Nunzio Apostolico … Così dicendo andò a un grande armadio e lo aprì. Appeso in alto, su di una gruccia, pendeva un abito vescovile di panno rosso abbottonato fino all’orlo inferiore e con la mozzetta sulle spalle. Sopra il gancio della gruccia si vedeva lo zucchetto, collocato pressapoco al posto della testa.”

Ornella Muti, nel ruolo di Matilde Scrosati vedova di Angelo Berlusconi, disperso in Africa, che lei aveva sposato per procura dieci anni prima. Il matrimonio non era mai stato consumato e Matilde era, quindi, una vergine di guerra! “La cognata, vedova d’un fratello della signora, pareva invece contenta di avere un po’ di compagnia a tavola. Era una giovane donna prosperosa, bionda, pallida, con occhi grandi e innocenti, un po’ flaccida all’apparenza, ma ben piantata sopra un torso a fuso dal quale prorompevano, sotto il velo di chiffon che la paludava, due seni da battaglia, a popone per colpa di un reggipetto mal sagomato, ma una volta liberi certamente a pera spadona, da tanto che si impennavano quando alzava il busto per dar fiato ai polmoni. Un fiore di magnolia, pensai, una tuberosa grassa e delicata, con chissà quale bulbo nascosto.”
Piero Chiara, essendo nato a Luino, conosceva molto lago l’atmosfera maliconica del lago e la descrive così: L’inverno sul lago è dolcissimo, specialmente sulla sponda piemontese, che resta verde tutto l’anno. Ma la sera scende presto e non si poteva far altro, in quegli anni, che chiudersi in casa davanti ai camini a leggere, a conversare, a centellinare qualche vecchia bottiglia o semplicemente a guardare il fuovo. Chi ha passato anche un solo inverno sul lago, in villa, sa quanta pace e quanta noia è possibile distillare ogni giorno. Lo spettacolo delle acque che diventano d’un azzurro d’acciaio e poi color piombo sotto le piogge invernali, la neve che compare sui monti, il sorgere e il tramontare del sole quando è bel tempo, il passaggio dei battelli, le giornate di vento che non mancano mai, il fiorire dei crisantemi, delle mimose, delle camelie e poi finalmente delle azalee, segna il passare della stagione. Dietro i vetri, tra i vecchi mobili dell’età delle ville, i pochi rimasti ad abitarle vedono passare il tempo come a nessuno è possibile nelle città e nei palazzi.

L’Orimbelli coglie l’occasione al volo e si presenta il mattino dopo sulla barca del Maffei, che carica due disinibite amiche svizzere. “Appena al largo e fuori dalla vista della Guardia di Finanza, le due donne si spogliaromo completamente per abbronzarsi in modo uniforme … Seduto ai piedi dell’albero, l’Orimbelli era raggiante. ‘Cose da pazzi!’ diceva. ‘Questo è vivere! Questa è vera godùria!’ … ‘Meno male che è arrivato lei a liberarmi! Viva la Tinca’

“A metà lago ci aveva colto di sopresa un vento raro, il Munscendrin, che scavalca unao volta ogni due o tre anni le pendici del Monte Ceneri. scaricando verso sud l’alito dei ghiacciai nascosti dietro la valle Leventina … Si trattava comunque di un vento favorevole e ne approfittammo per andare a dar fondo, poco dopo mezzogiorno, tra i due castelli di Cannero.”

“Non c’era nessuno i giro, tanto che sbarcammo con le nostre svizzerotte ignude per una colazione sull’erba tra gli urli d’entusiasmo dell’Orimbelli.”

I due viveur fanno tappa in un albergo di Pallanza, dove il Maffei inizia a comprendere l’ambiguità e la perversione dell’Orimbelli. “Doveva esser … uno di quei diavoli che mettono mano ovunque, senza riguardi e senza scrupoli di sorta, un vero orco dalle maniere garbate, un lupo nascosto dentro a una pelle di pecora.”

Una tappa a Villa Cleofe, durante la visita dei Puricelli, cugini di Cleofe e grandi industriali della canapa. “Matilde aveva smesso gli abiti di mezzo lutto e la commedia della vedovanza”. Il Maffei è sempre più attratto dalla giovane donna

Il commendator Puricelli, con la moglie e le due visite in visita alla cugina Cleofe. Sullo sfondo l’isola dei Pescatori e l’Isola Bella

Matilde, annoiata dalla compagnia di Cleofe, sale sulla Tinca per una crociera. “Il costume di Matilde, di maglia sottile, aderiva al suo corpo bagnato come una seconda pelle e per di più, diventato trasparente, le svelava un pettignone nero largo una spanna e due aureole color cioccolata intorno ai capezzoli, che il freddo dell’acqua aveva irrigidito come punte di ombrello.”

Dall’Isola Bella l’Orimbelli invia una lettera alla moglie in cui le scrive la sua volontà di separarsi per sposare la cognata, di cui è innamorato. In realtà c’è dietro un piano per liberarsi di Cleofe

Il Procuratore della Repubblica all’ingresso di Villa Cleofe per indagare sull’improvvisa morte della signora Orimbelli: si tratta di un suicidio o di un omicidio?

“Sedeva dentro un ampia poltrona di vimini a forma di semicupio nella mezza ombra del glicine, vicino alle colonne di ferro della balaustra, in aspetto di grande abbandono, come una convalescente sulla terrazza di una clinica. Poggiava il capo a un cuscino rosso allacciato alla poltrona e teneva gli avambracci stesi sui braccioli. con le mani che pendevano mollemente ne vuoto e sembravano accennare verso il pavimento.”