di Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola, Roberto Castiglioni e Francesca Coletti
“Il villaggio nel quale mi trovavo aveva un nome che ben gli si addice: Ameno, posto su un’altura, era circondato da vigne e da boschi di castagno. A mezzogiorno lo sguardo abbruciava le fertili pianure lombarde e piemontesi, che lambivano le colline del Monferrato ed in lontananza gli Appennini. Ad Oriente una falda montuosa si estendeva dal Mergozzolo sopra Bavno fino al retroterra di Arona. Campanili sparsi qua e là nel folto dei boschi, lasciavano immaginare numerosi e tenaci coltivi. A Nord, simili ad una grande sega, si scorgono i dentati ed ignudi Corni di Nibbio, che sovrasteno la via tra il Sempione ed il lago Maggiore… Tre le fronde dei castagni scoprii a un tratto le acque sfavillanti del lago, lucido più di uno specchio, che aveva nel mezzo un’isoletta da cui si ergeva, tra le case, una bella chiesa…”. Così il generale austriaco Ludwig Von Welden, in Der Monte Rosa, il suo scritto del 1824 commissionato dal Regno sabaudo di Sardegna, descrive, con il suo attento sguardo, la cittadina affacciata sul Lago d’Orta.

Lo Stemma del Comune di Ameno: un cane rampante coronato con la scritta “Soloque, Poloque, Saloque” e in basso “Fidelitas Coronata“. Nell’incendio della sede del Comune del 30 Ottobre 1931 bruciò anche un grosso cane di legno. Questa scultura veniva portata in navigazione dagli abitanti di Ameno fino a Buccione per salutare il nuovo Vescovo di Novara
Dopo la raccolta di cartoline dedicata a https://archiviodelverbanocusioossola.com/2011/12/14/meina-ritratto-in-cartolina/ e a https://archiviodelverbanocusioossola.com/2011/09/26/solcio/, l’Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola mostra ai suoi lettori Ameno nel Cusio. Grazie alla collezione di immagini, raccolte e ordinate da Roberto Castiglioni e Francesca Coletti, proponiamo un itinerario visuale dei suoi scorci più noti.
Piazza Marconi e Palazzo Tornielli

La Chiesa barocca di San Giovanni Battista in Piazza Tornielli, ora Piazza Marconi, edificata sul progetto di Giovanni Antonio Martelli, il sacerdote di Miasino canonico della Basilica di San Giulio. Il nome Tornielli deriva dalla nobile famiglia omonima, che possedeva il palazzo a destra della Chiesa, in principio oratorio privato della famiglia

Il palazzo, ricostruito nell’Ottocento era la casa degli aristocratici Tornielli di Borgolavezzaro. Al suo interno c’è un pregevole affresco mitologico nel soffitto dello scalone e belle ringhiere di ferro battuto, prodotte da artigiani locali. Ospita il Municipio di Ameno

A Palazzo Tornielli è anche possibile visitare un Museo di Arte Contemporanea, gestito dall’Associazione Asilo Bianco, è allestito nell’antico magazzino per il fieno e in alcuni locali dove un tempo risiedeva il pastore. L’associazione culturale si occupa anche di organizzare mostre e workshop a tema

Al Museo è anche collegata una biblioteca che contiene l’importante collezione d’arte del Fondo Macchi Luna

Davanti alla Chiesa e al Palazzo e, dietro una maestosa cancellata, si apre il Parco neogotico, che era di pertinenza della villa ed era raggiungibile tramite un passaggio sotterraneo, anticamente la via di ingresso al giardino. Nel 1920 fu trasformato in parco pubblico; è ben tenuto ed è stato accuratamente restaurato

Nel parco vi sono alberi secolari e graziosi parterre. Sulla sinistra è visibile la torre poligonale merlata del Parco di Palazzo Tornielli, in cui gli ospiti potevano salire per gustare il panorama. Quinte affrescate con sfarzosi e coloratissimi trompe l’oeil creano una singolare e unica isione
La Chiesa dell’Assunta
La Chiesa parrocchiale, dedicata alla Madonna Assunta, è situata alla fine del paese in fondo al viale alberato; risale al 1340 ed è stata costruita in stile romanico sul sito di una basilica precedente. Il campanile, di massicci blocchi in granito, fu aggiunto dal 1505 e terminato vent’anni dopo.
La Confraternita del Santissimo Rosario esisteva ad Ameno prima del 1586, ma l’11 Novembre di quell’anno le fu dedicata una cappella dal domenicano Bernardino da Torino. Molte persone erano iscritte alla Confraternita, anche di paesi lontani come Pisano, Invorio, Colazza, Tapigliano, Meina, Corciago e Paruzzaro. Tra i membri c’era anche Lazaro Cotta, letterato ed erudito del XVII secolo, autore, nel 1701, del Museo Novarese. La Confraternita si spense verso il 1800, forse a causa delle sopressioni che la privarono dei redditi. Nel 1832 fu ricostituita da alcuni giovani Amenesi, con un regolamento che imponeva la divisa bianca e turchina. Il Cardinale Morozzo, vescovo di Novara consentì che la Confraternita potesse servirsi della Chiesa di San Rocco per gli esercizi di pietà. La statua della Madonna, che fu restaurata a Torino nel 1838, fu incoronata per volere della chiesa di Roma con due corone in ora cesellato opera del Signor Comola di Isoletta, Borgosesia

Il frontespizio del libretto Feste centenarie e solenne incoronazione della Madonna del Santissimo Rosario di Ameno, stampato nel 1932
Nel 1932 fu stampato un prezioso libretto per celebrare la solenne incoronazione dalla Madonna scritto dall’Ingegner Giorgio Decio, contenente in otto pagine notizie storiche su Ameno. Per chi volesse leggerlo ecco qui il pdf: Feste centenarie e solenne Incoronazione 1932
Villa Monte Oro
Guardando Ameno da lontano non si può fare a meno di notare una maestosa dimora che svetta su un’altura a nord del paese. Il conte Gaudenzio Tornielli (1856-1935), di antica e benestante famiglia novarese, aveva ereditato nel 1891 alcuni terreni e una casa, precedentemente di proprietà della famiglia Cotta, nei pressi del Roccolo di Monte Oro. Decise così di acquistare i fondi circostanti e in pochi anni divenne l’unico proprietario. Il suo desiderio era quello di trasformare la collina, che era prevalentemente coltivata ad uva bianca, in un romantico parco all’inglese e aveva affidato l’incarico di giardiniere ad Alberto Pessina. Il nome “Oro” deriva probabilmente dal colore che il vitigno mostrava in autunno e che donava una tinta d’orata alla collina.

La Villa Monte Oro, conosciuta anche come Castello Tornielli, in una rara foto mentre era in costruzione
Qui ritroviamo di nuovo il generale Von Welden: “Dopo quattro ore di strada, passato un ponte lungo la sponda destra dell’Agogna, raggiungemmo finalmente il Monte Oro, nei pressi di Ameno. La luna nel pieno del suo splendore aveva inargentato il lago e le sue rive deliziose. Salendo il Monte Oro attraverso vallette oscure, ci sembrò di esserci imbattuti in una di quelle fantastiche visioni che incantano i viaggiatori nelle leggende … Tutto contribuiva ad abbellire quella romantica scena notturna, che non mi decidevo, ancora dopo la mezzanotte, a desistere dall’ammirare dal terrazzo della villa dove ero finalmente giunto“.
Dal 1897 il Tornielli iniziò a piantare i primi esempari di quella che sarebbe diventata un’eclettica collezione di specie esotiche, provenienti da vivai europei e del Lago Maggiore. Prevalevano le conifere monumentali e tra queste rare sequoie, diverse specie di cipressi e tassi. Nel giardino, di 24 ettari, vari percorsi, lunghi in totale 7 km, si snodavano alla scoperta delle piante e ad inattesi panorami, sempre diversi. Il clima temperato del Cusio ha consentito la crescita di alberi insoliti, come la giapponese Sciadopitis Verticillata, la nordamericana Torreya Californica e rarissimi esemplari di Fagus Sylvatica Cristata affiancati da faggi penduli e rossi. Inoltre ci sono arbusti di rododendri, azalee, ortensie e un viale di magnolie grandiflora, piantate dal giardiniere Luigi Cavadini. Nel laghetto crescono spontanee le ninfee. Nell’angolo nord est, nella faggeta, c’è una sorgente, la cosiddetta fontana d’oro amata da Lazaro Agostino Cotta, cui aveva dedicato una poesia.
Il progetto della villa, edificata dal 1926, fu affidato all’architetto torinese Carlo Nigra, già proprietario della famosa Villa Nigra a Miasino. La collina venne spianata per erigere una casa a pianta articolata, con una torretta belvedere completa di meridiana. Lo stile prescelto era il neocastellano, con decorazioni che ricordano quelle dei manieri del novarese e citazioni anni Venti. Sulla torre è leggibile il motto latino Nulla fluat cuius meminisse non iuvat (Che nessuna ora scorra di cui non giovi il ricordo). Nel 1935 la proprietà passò alla nipote Maria, del ramo dei Tornielli di Novara, che era la sposa di Riccardo Monaco, principe di Araniello.
Chiesa di San Rocco
La Chiesa era stata fondata nel 1485 dopo una pestilenza e fu ricostruita nel 1652 con una facciata barocca. In questo oratorio si conservava, in un urna, una preziosa reliquia: il corpo di San Felice Martire, che era stato estratto dalle catacombe di San Callisto nel 1681 e poi regalato, nel 1687, da Papa Innocenzo XI al Padre Carlo Bertocchino di Ameno. Il prete lo donò a Francesco Bernardino Pavesi Vegezzi perché lo portasse in patria. Attualmente l’urna è collocata nella Chiesa di San Bernardino.
Casa Vegezzi
I Vegezzi, originari di Laveno sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, giunsero ad Ameno alla fine del XVI secolo. Qui si imparentarono con i Pavesi, assumento lo status di “vicini”, comune alle valli ossolane e al Ticino svizzero, che comportava il diritto di godimento di beni comunali e che poteva essere esteso alle famiglia immigrate. Il primo nucleo della casa fu costruito nel 1603, come riporta la data incisa su due pietre all’interno e all’esterno dell’antico edificio. La casa fu poi ampliata nel Settecento e alla fine dell’Ottocento, da Saverio, il più illustre discendente dei Vegezzi.
I Vegezzi erano imparentati tramite i Pastori con due noto personaggi: Ludovico Antonio Sinistrari (1632-1732) e con il nipote https://archiviodelverbanocusioossola.com/2016/04/10/lazaro-cotta-e-la-sua-casa-di-ameno/ (1645-1719). “I Vigezz”, che avevano iniziato a quei tempi un’impresa tessile, erano profondamente cattolici: Don Giulio (morto nel 1814), era canonico del Duomo di Novara; Rosalia fece il suo ingresso nel Monastero della Visitazione di Miazzina il 24 Ottobre 1872 con il nome di Suor Felicita Carolina. I nonni si chiamavano Carlo Francesco (1790-1796) e la moglie Felicita Donaudi che si trasferino a Torino nella metà del Settecento e furono sepolti nell’antico cimitero di San Pietro in Vincoli. Gli altri nonni erano Pietro Francesco (1763-1829) e Delfina Cottolengo, che, tramite la sorella Olimpia, imparentò i Vegezzi con i Richelmy del Cardinale Agostino, vescovo di Torino. Pare che gli anni di Pietro Francesco Vegezzi siano stati economicamente difficili per la famiglia, che sopravvisse grazie alla generosità della sorella di Delfina, che scelse i nipoti come eredi universali.

Camillo Benso conte di Cavour in un ritratto di Antonio Ciseri. I Vegezzi erano molto amici della famiglia Cavour. Il prozio di Camillo aveva fondato con Pietro Vegezzi un fallimentare allevamento di pecore merinos nella tenuta della Mandria a Chivasso. Cavour chiamò Saverio nel primo Parlamento
Causa della débacle potrebbe essere stato il fallimento della Società Pastorale per l’allevamento dei merinos alla Mandria di Chivasso, costituita da Bartolomeo Benso di Cavour, prozio di Camillo e fratello di nonno Filippo, con Pietro Vegezzi e altri bei nomi della Torino d’allora. L’azienda era stata pensate per la fornitura di divise militari per l’esercito napoleonico. Il tracollo non influenzò i rapporti tra i Cavour e i Vegezzi, che si consolidarono nell’amicizia tra Camillo due dei sette figli di Pietro, Saverio e Giovenale, entrambi senatori nel primo Parlamento italiano a Palazzo Carignano. Giovenale aggiunse al proprio cognome quello del casato della moglie, diventando Vegezzi Ruscalla, per evitare la dispersione di quella nobile antica famiglia di origine pavese. Si sposò nel 1836 con Felicita D’Alessandri, una ventiquattrenne appena uscita dal Collegio della Visitandine di Lémenc, nei pressi Chambery in Savoia. Il padre era l’avvocato Domenico D’Alessandri e la madre era Emerenziana, figlia del dottor Nicolò Rinaldi d’Incisa.

Parte dell’albero genealogico della famiglia Vegezzi (archivio famiglia Brossa), pubblicato in Giovenale Vegezzi Ruscalla, Abolire il francese…, Torino, 2011, ristampa anastatica, Chambre d’Oc
Giovenale fu uomo politico, giornalista ed etnografo. Studiò i Valdesi e i dialetti del Nord Italia. Alla morte della moglie il 19 Marzo del 1843 egli rimase solo con le due figlie: Emerenziana, detta Emma, e Ida nella loro casa a San Vito sulle colline torinesi. A ridosso dell’Unità nazionale, si battè per l’eliminazione delle minoranze linguistiche in Italia, pubblicando nel 1861 Diritto e Necessità di abrogare il francese come lingua ufficiale in alcune valli della Provincia di Torino. Il Vegezzi Ruscalla divenne uno dei massimi esperti della lingua romena e promosse all’Università di Torino l’Istituto di lingua e cultura rumena.

Costantino Nigra, al centro, con la moglie Emerenziana Vegezzi Ruscalla in abito a pois. Sulla sedia il loro unico figlio Lionello e a sinistra nonno Giovenale. Dal sito Costantino Nigra
Egli fu suocero di Costantino Nigra, protagonista del romanzo Ottocento di Salvator Gotta, cui andò sposa la figlia Emerenziana (1837-1911). L’unione era stata patrocinata dallo stesso Cavour, ma non fu una scelta felice. Infatti i coniugi, dopo una breve convivenza vissero sempre separati, nonostante la nascita del figlio Lionello. Emerenziana si chiuse, per il resto della sua vita, in un assoluto isolamento e tutti pensavano che Costantino, il seducente politico e poeta, fosse scapolo.

Francesco Saverio Vegezzi in una foto rovinata dell’Istituto Italiano del Risorgimento
Più celebre di Giovenale fu il fratello Francesco Saverio (Torino 21 Dicembre 1805 – 23 Luglio 1888), che era ritenuto uno dei migliori avvocati del suo tempo, senatore e uomo di fiducia di re Vittorio Emanuele II in delicate missioni. Fu ministro delle Finanze dal 1860 al 1860 sotto il governo di Camillo Cavour, con cui era amico fin dall’infanzia, e inviato confidenziale di Vittorio Emanuele II al Papa Pio IX in una delicata vicenda del rapporto tra Stato e Chiesa. Inoltre il Vegezzi ammise per la prima volta nel 1883 una donna, Lidia Poet, nell’Albo degli avvocati. Ultima dei Vegezzi fu Teresa, deceduta nel 1934.

Lidia Poet, la prima donna avvocato, ammessa dal Vegezzi nell’Albo
In Casa Vegezzi si svogeva anche la vita della famiglia Gioira, che per circa trecento anni vissero come massari nell’attigua casa colonica, cessando solo con la morte di Giuseppe (detto Pinotu) nel 1966, l’ultimo maschio. Dei Gioira si ricorda il Carlin, che fu garibaldino e volle essere sepolto con la camicia rossa.

Una rarissima immagine di Casa Vegezzi durante i lavori di ampliamento intorno al 1880 quando ospitava i due fratelli senatori Giovenale e Saverio Vegezzi che trascorrevano ad Ameno le vacanze estive
La palazzina, che fu ristrutturata a ampliata da Saverio, viene citata dal Boniforti nel 1892: “per felice postura, per la feracità del suolo e i deliziosi giardini e palagi che l’abbelliscono, è ben degno del nome che porta” e menzionava, tra le ville del paese, “la Vegezzi rimodernata a disegno dell’abate Marietti“. Don Ercole Marietti (1825-1906) era sacerdote e architetto del Collegio Gallarini di Novara e progettò molti edifici sacri del novarese. Nel 1872 si interessò alla sistemazione del Castello Balsari di Pombia, donadogli un aspetto bizzarro con l’utilizzo di classici stilemi da castello medievale, come mattoni a vista, torri e merli. Don Marietti ha inoltre progettato Villa Galli Gatti Grami a Meina in via Sempione. Casa Vegezzi è nel centro del paese ed occupa lo spazio alla confluenza di due strade. Lo stile della facciata è decisamente eclettico. Superato il portone c’è una piccola corte e all’interno, secondo il Boniforti, “è un salotto molto leggiadramente dipinto a fresco dal Musello di Torino“. Sulla casa c’è una scritta: Datur Hora Quieti, frase latina che significa Ti sia concesso il riposo ristoratore

Una lettera spedita con la carta intestata di Villa Vegezzi e la scritta latina “Datur hora quieti”, che significa Ti sia concesso il riposo ristoratore
L’Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola ringrazia Roberto Castiglioni e Francesca Coletti per le immagini e le informazioni fornite su Ameno e la sua storia.